LA VERA STORIA DI ALASSIO
A cura del Prof. Giovanni Puerari
Indice:
Presenze arcaiche (Le Origini)
La storia di Alassio non ha origini recenti, come sembrano attestare alcune leggende che circolano anche in ambienti colti, ma affonda le sue radici nelle vicende di quei popoli che, alcuni secoli prima di Cristo, occuparono il territorio e portarono i loro segni di civiltà.
Dagli scavi nella zona della chiesa parrocchiale di S. Ambrogio nel 2016 sono emersi non solo frammenti di anfore e coppi utilizzati tra il I sec. a. C. ed il I sec. d. C., a testimonianza di una stabile ed organizzata presenza romana, ma anche un manufatto ancora intatto, chiamato “canaletta”, utile per la diffusione dell’acqua e tipico dei popoli di epoca pre-romana che vivevano sulle colline e sfruttavano il piano.
La presenza di genti provenienti da tutta Europa in periodi antichi e discese nel nostro territorio è attestata in modo inequivocabile da alcuni toponimi ancora oggi vitali.
Il monte Tirasso, considerato comunemente torre di difesa e di avvistamento, che ospita oggi il santuario della Madonna della Guardia, deriva da una forma mediterranea, molto antica, turris, che significa “torre, pietra, rocca”.
Si notano nel nostro anfiteatro tre monti, Bignone, Castellaro e Arpixella, che rappresentano le posizioni ideali per l’insediamento di lontani progenitori liguri.
Sappiamo che ad Albenga il promontorio di San Martino poteva essere la sede di popolazioni celtiche vissute prima dell’arrivo dei Romani e della formazione di Albingaunum, civitas e centro commerciale e politico della zona.
A Sanremo la sezione archeologica del Museo Civico ospita nella terza sala i materiali rinvenuti negli insediamenti preromani di altura, i Castellari, posizioni fortificate utilizzate dalle popolazioni liguri (V-II a.C.):
Torre dell’Alpicella presso Perinaldo e Monte Bignone alle spalle di Sanremo.
Alla luce di queste considerazioni Alassio ha tutte le caratteristiche geomorfologiche per aver attirato prima dell’era cristiana l’attenzione dei Liguri, forse Ingauni.
La spia di una presenza prelatina e di un linguaggio di origine indoeuropea o preindoeuropea, anteriore alla civilizzazione romana, è senza alcun dubbio il nome della nostra città, Arasce/Alassio.
In origine è possibile che la parola completa iniziasse con Var-, prima della caduta della labiovelare /W);
in questo caso in sanscrito “vār, vāri“ significa acqua;ma anche dalla radice indoeuropea *u̯r>u̯er>u̯or>u̯ar ricaviamo il significato di acqua, pioggia, fiume;
esiste anche un gallico *vara.
Sempre alla popolazione ligure degli Ingauni risalgono i seguenti idronomi:
Arroscia, Arrogna, Aravenna.
L’altro nome di paese, Varazze, conserva la labiovelare /W/, così come il lombardo Varese.
Accanto all’attuale hotel Milano si getta in mare il torrente Tienna, nome che deriva dalla radice pre-indoeuropea *ten/*tan/*tin, col significato di fossa, fiume.
A questo gruppo appartengono anche il fiume Tanaro e la località Tinella in Piemonte.
Nella suddivisione dei beni di Oberto di Spagna del 1232 compare più volte il termine Lamello, evidente derivazione da *lama, pantano, palude, stagno e anche burrone, voragine.
In alcune zone la stessa forma, lamia, ha il significato di strega, vampiro, legato con lamos, gorgo, pieno di abissi, inghiottitoio.
Anche l’isola Gallinaria sembra appartenere a quei nomi in *gala col significato di “rocca sassosa”, “fortezza”.
Vicino a noi si trova Bordighera, in latino Burdigala, forse paese sviluppatosi su una rocca o su un terreno roccioso.
Il toponimo che ha sempre suscitato ipotesi e su cui gli studiosi sono molto incerti è Vegliasco.
Qualche linguista interpreta il suffisso -asco come una forma del ligure o dell’ingauno piuttosto arcaica e che può avere valore etnico.
I Bergamaschi, ad esempio, sono quelle persone che vivono su un Berg-, monte, collina.
I rivier-aschi, del resto, occupano il litorale, la riviera.
Vegliasco, quindi, si riferisce a quel popolo che occupava un territorio particolare, chiamato vegl-, il cui significato ancora sfugge.
In base a questi dati si comprende come il golfo di Arasce/Alassio ospitasse popoli o tribù arcaiche che chiamavano gli elementi naturali con termini precisi, chiamati “sostrato” dai linguisti, giunti fino a noi inalterati nei secoli.
Presenza romana
Dopo la conquista della zona, avvenuta nel Sec. II a. C, i Romani non mutarono il nome del territorio racchiuso nel golfo, Arasce, ricco di corsi d’acqua, come lo chiamavano i popoli precedenti, ma si preoccuparono di assegnare le terre all’aristocrazia o ai veterani di guerra.
Ancora oggi chiamiamo Regione Pegliano quel lembo che si distende dalla zona Cavia, sotto il Castellaro, fino al mare.
I nomi che terminano in -ano tradiscono la presenza di un fondo assegnato ad una gens, sono toponimi prediali; da qui fundus prelianus e quindi fondo della familia Pelia/Pelius.
L’esistenza di questa famiglia è attestata da una moneta di epoca romana.
Un toponimo, in particolare, è stato oggetto di studio da parte del prof. Lamboglia: Tropeliana.
Questo nome può essere sdoppiato in Turris Peliana, la torre di Pelio, e indicare la presenza di un sistema di difesa da qualsiasi incursione sia via mare da parte dei saraceni sia via terra da parte dei Franchi e degli Alemanni.
Un’altra gens sembra presente e in modo massiccio nel golfo; si tratta di Moirano, forse del gentilizio Murrus, che ha svolto un ruolo straordinario nella storia di Arasce e una crescita significativa nel settore economico.
Poiché il nostro territorio è ben delineato da capo Santa Croce alle cosiddette Serre, deve essere stato abbastanza agevole suddividerlo in settori (centurie) da assegnare alle gentes che in breve hanno colonizzazione la loro porzione di terra col sistema della fattoria, caratterizzata da casa padronale e case coloniche intorno.
E’ scomparsa una testimonianza importante riferita da Lamboglia nel suo studio sulla toponomastica alassina: il cippo rinvenuto presso le case canoniche, ma purtroppo scomparso, con la scritta “Antoninus pius felix”, che si può considerare il punto di riferimento per le misurazione agronomiche romane.
Queste considerazioni sono per ora allo stato di ipotesi e attendono una conferma da eventuali ritrovamenti archeologici.
Con la caduta dell’impero in mano ai Goti nel 476 d.C. e con la disastrosa guerra greco-gotica del sec. VI, segnata da carestie, epidemie e guerre, l’organizzazione romana entra in crisi.
I punti di riferimento saldi e le strutture politiche sicure vengono a mancare.
MONETE del periodo romano
Breve Storia di Pelius Paetus
Pelius Paetus fa relativamente poche apparizioni nella Storia di Roma di Livio.
Fu edile nel 204 a.C., fu eletto pretore nel 203 a.C. e poi scelto come Maestro di cavalleria e divenne console nel 201 con Gneo Cornelio Lentulo.
Nel suo anno da console, fece un trattato con gli Ingauni Ligures e fu nominato uno dei dieci decemviri per la distribuzione delle terre dell’ager publicus tra i soldati veterani di Scipione Africano nel Sannio e in Puglia.
Nel 199 a.C. fu eletto censore insieme allo stesso Africano.
I due censori erano relativamente liberali nel loro lustro e non degradarono nessuno.
Paetus morì nel 174 a.C. durante una pestilenza a Roma, come riportato da Tito Livio in un capitolo frammentario.
Suo figlio era Quinto Pelius Paetus, che divenne console nel 167 a.C.
Presenza longobarda e Origine di Arasce
Per comprendere il valore storico della occupazione longobarda e il suo impatto sul nostro territorio, è fondamentale riprendere due documenti di qualche secolo posteriori alla loro discesa in Italia:
– la bolla papale del 1169 e
– la carta di vendita dei diritti fondiari e feudali dei monaci al comune di Albenga.
Papa Alessandro III pone sotto la protezione apostolica i beni del monastero e tra questi in particolare la chiesa di S. Croce, la chiesa di S. Ambrogio de Araxe, le dominicature e la villa posta presso la chiesa e inoltre la decima parte dei pesci che vengono presi intorno all’isola Gallinaria.
Questi dati sono integrati da alcune precisazioni presenti nel documento del 1303.
L’abate non vende tutti i possessi presenti nel golfo, ma riserva al monastero la proprietà di due appezzamenti di terra, chiamati braide, posti ai due lati della chiesa di S. Ambrogio, di fronte alla villa, e dell’edificio sacro stesso.
Sono stati tralasciati in questo elenco i beni posseduti in altre parti della Liguria e nei pressi di Barcellona, un patrimonio immenso, che proietta il cenobio in prima linea.
D’altra parte, tuttavia, pone la questione dell’origine di un patrimonio così vasto.
Né durante la tarda romanità, né quando i bizantini nel sec. VI fortificarono il litorale ligure in loro possesso è credibile la nascita del monastero con una dotazione così estesa, in cui era compreso anche il nostro golfo.
Questo atto religioso e politico insieme è stato compiuto solo dopo che una massa consistente di Longobardi ha preso possesso della nostra zona e un delegato regio, duca o più facilmente gastaldo, l’ha organizzata non solo sotto l’aspetto amministrativo ma anche economico.
Nasce, quindi, tra i secoli VII e VIII la curtis o villa, che si distende intorno alla chiesa di S. Ambrogio e comprende ai suoi lati le cosiddette braide, terre del dominus loci, cioè dell’abate, e le case dei coloni, schiavi o liberi, obbligati a lavorare in determinati periodi le proprietà padronali, la pars dominica, e a sfruttare in enfiteusi per conto proprio la zona circostante, pars massaricia.
Arasce è questa realtà, questo territorio, formato da torrenti e da un insediamento, in cui trovano posto la chiesa di S. Ambrogio per le esigenze religiose, le terre e le case, per lo più in legno, per la vita dei suoi abitanti.
E’ l’inizio di un viaggio storico e di un’ascesa che non avrà sosta per secoli.
(a seguire)